Con due pronunce emesse nella stessa giornata (sentenze n.128 e 129 del 16 luglio 2024) la Corte Costituzionale ha letteralmente stravolto la disciplina del contratto a tutele crescenti, di fatto comportando un sostanziale allineamento a quanto previsto dall'art.18, l.n.300/70 per i lavoratori assunti prima del 7 marzo 2015.
In particolare;
a)con la sentenza n.128/24 la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 3, comma 2, del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23 (Disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183), nella parte in cui non prevede che si applichi anche nelle ipotesi di licenziamento per giustificato motivo oggettivo in cui sia direttamente dimostrata in giudizio l’insussistenza del fatto materiale allegato dal datore di lavoro, rispetto alla quale resta estranea ogni valutazione circa il ricollocamento del lavoratore.
In buona sostanza, viene riconosciuta la tutale reintegratoria e non solo indennitaria qualora venga accertata in giudizio l'insussistenza del fatto posto a base del licenziamento; rimane invece la tutela esclusivamente indennitaria qualora venga violato il c.d. obbligo di repechage.
b)con la sentenza n.129/24 la Corte ha dichiarato infondata la questione di costituzionalità dell’art. 3, comma 2 della legge n. 23 del 2015 che era stata sollevata (in riferimento agli artt. 2, 3, 4, 2, 34, 35, 36, 39, 40 41 e 76 Cost.) in un giudizio relativo all’impugnazione, con richiesta della tutela reintegratoria, di un licenziamento disciplinare motivato da mancanze risultate esistenti, ma che il CCNL applicabile sanzionava con una misura conservativa del rapporto. Ma la Corte ha ritenuto di interpretare la norma in modo coerente alla Costituzione, affermando che l’ipotesi in cui la contrattazione collettiva tipicizzi (non quindi con norma astratta ed elastica) specifiche ipotesi di mancanze disciplinari cui ricolleghi una sanzione conservativa va equiparata a quella, esplicitamente considerata dalla legge, di insussistenza del fatto materiale contestato.
E' da sottolineare infine che la Corte Costituzionale ha affermato che la disciplina dei licenziamenti deve avere una valenza dissuasiva rispetto al potere di recesso del datore di lavoro; si può quindi ipotizzare, che a seguito di tali pronunce, possa riaprirsi la questione della decorrenza del termine di prescrizione durante il rapporto di lavoro, che attualmente la Corte di Cassazione ritiene decorrere, nel rapporto di lavoro privato, dalla cessazione del rapporto medesimo (Cass. 6 settembre 2022 n. 26246).